lunedì 18 febbraio 2019

"Non ci riescio"





A un certo punto, se lo dirai — perché noi adulti fatichiamo a dirlo — lo dirai bene. 
E già sento che mi mancherà: “Papà, mi aiuti? Non ci riescio!”.
Mi mancherà, perché “la sindrome della culla vuota”, “la crisi di mezz’età” etc etc… ma sopratutto per la tenerezza infinita che sa regalarti un bambino che parla il bambinese.
La tenerezza. Un tesoro di umanità in questo tempo di spigoli e machos.

Poi, diciamocelo, figlio mio… Il fatto è che nemmeno io so se “ci riescio”. Ma a te in fondo in fondo non importa. Quello che importa, è che ci sia qualcuno lì a raccogliere quella richiesta d’aiuto. A guardarti negli occhi mentre la esprimi. E a prenderla sul serio. Già solo questo ci dà forza.
Ci provo, France’, anzi, ci proviamo. Ma anche se non ci riusciremo, ci avremo provato insieme. E questo è già un privilegio immenso.

martedì 15 gennaio 2019

Intorno alla tavola, il mondo. E Dio


L’ospitalità di Abramo, icona, inizio xv secolo, Museo Benaki, Atene.

Cattolici, musulmani e ortodossi. Argentini, eritrei, italiani, somali e pachistani. Amarico, castigliano, inglese, italiano, soomali, tigrigno, urdu. Lasagne, focaccia, sambusa, zighinì. Sapori, suoni e colori diversi, anche sulla pelle. Il gusto di stare insieme.
Questo Capodanno è andata così a Miriam-Betlemme, nel cuore di Roma. Con mezzo “pallamondo” di Ab. seduto a tavola insieme, a fare festa per il compleanno di Ay. e proprio di suo figlio Ab. La dignità della quotidianità condivisa. L’invisibile “potere” di integrazione di una cucina e della famiglia.
Il “pallamondo” di Ab.
Lingua, confine e frontiera
Le lingue ci dividono. Ma diventano anche frontiere dove l’incontro è possibile. Eritrei e somali comunicano in amarico, perché entrambe le famiglie sono state rifugiate in Etiopia. L’arabo poi le accomuna anche con i pachistani, perché è la lingua delle scuole coraniche e quella che anche i figli degli eritrei hanno imparato a scuola in Etiopia. In arabo, conversando, Ay. esprime il suo sogno dello ḥajj il pellegrinaggio tradizionale alla Mecca. Con Ta. (pachistano) e Te. (eritreo) comunichiamo in inglese. Te., che “resiste” all’insegnamento dell’italiano, è un fiume in piena, tra entusiasmo e preoccupazioni: in genere, dice, non trova persone che vogliono e possono parlare con lui, per aver in confronto e uno sfogo alla pari: lo salutano e poi non sanno che fare. Invece così si sente un po’ più uomo…
La geografia che non ti aspetti
“Ma la Libia è in Africa?”, domanda la zia (somala) di Ab., mentre guardiamo insieme il pallamondo. Chissà cosa rappresenta nel suo immaginario la Libia… Alcuni non avevano mai visto la forma della propria terra e, sebbene le abbiano sperimentate bene, non avevano mai visto con gli occhi le distanze rispetto all’Italia e ai Paesi degli altri ospiti.
I bambini che fanno ponti
Francesco (4 anni), il nostro figlio più piccolo, e Ab. (8) passano da mesi tante ore del giorno insieme. Ab. vuole andare al bagno vicino alla cucina, ma Francesco lo ferma e gli dice che no, lì non può andare. “Perché no?”, chiede Ab. “Perché questo è il bagno per gli ospiti. Quello della famiglia, è di là”.
Il piccolo Be. gattona nella stanza che usiamo per la preghiera, per condividere il Vangelo con le famiglie che vengono a trovarci. E torna con una piccola candela per trofeo. La mamma Amy (ortodossa) lo accompagna a riportare a posto la candela, entra per la prima volta nella stanza, vede la nostra icona… chiede a Luisa, che le spiega cosa facciamo lì, e poi domanda: “Un giorno preghiamo insieme? Per noi è molto importante”.
Diversi ma uniti nella preghiera
Anche Ad., la moglie di Ta., è entrata qualche volta nella “stanza della preghiera”: quando ha avuto bisogno di appartarsi per allattare la piccola Fatima. Ha capito dove si trovava e una volta ha chiesto conferma. “Sì - le dice Luisa - ogni mattina prego in questa stanza. So che anche tu preghi 5 volte al giorno nella tua". Da quel momento due donne, una musulmana e l’altra cattolica, sanno che entrambe nella stessa casa e nello stesso luogo pregano, affidando a Dio ciascuno nel suo modo le persone di cui conoscono le difficoltà. “È il cuore che Dio guarda", ha detto Ad.

mercoledì 16 aprile 2014

Il rapporto con le figlie femmine: padri di tutto il mondo, svegliatevi!


Il rapporto tra padri e figlie femmine non è sempre semplice, ma sicuramente è determinante per la vita di entrambi. Il  libro che presentiamo ha il merito di affrontare il tema dal punto di vista delle nostre piccole donne e propone numerosi spunti interessanti. Quali le nostre esperienze?




Comprendere l’universo femminile e i suoi codici, per quanto affascinante, non è mai, per un uomo, impresa facilissima. Farlo quando il rapporto è quello tra un padre e la propria figlia alle porte dell’adolescenza potrebbe rivelarsi una strada impervia. Per questo, l’ambizioso tentativo che si propone Meg Meeker nel suo “Papà, sei tu il mio eroe”, Edizioni Ares, 2012 è particolarmente apprezzabile e tutto sommato ben riuscito.

Il libro si rivolge non soltanto a padri smarriti, ma è in grado di sollecitare buone intuizioni e considerazioni, non senza dispensare consigli, anche a tutti quei padri coraggiosi che hanno deciso di raccogliere la sfida di diventare una figura presente nella vita delle proprie figlie. L’autrice fornisce notevoli spunti su cui misurarsi, argomenti per capire e occasioni per mettersi in gioco. Lungo tutto il corso del testo, è particolarmente ben riuscita l’idea di proporre ai padri il punto di vista dal quale la loro figlia li osserva e si relaziona con loro: “Vorrei che ti guardassi con gli occhi di tua figlia. E non solo per il suo bene, ma per il tuo, perché se riuscissi a vederti come ti vede lei, anche solo per dieci minuti, la tua vita non sarà più la stessa”.

In questa prospettiva, emerge non soltanto l’importanza del padre, come riferimento dal quale attingere le regole e coltivare il rapporto con la realtà della vita e delle cose, rappresentazione centrale per la crescita di ogni figlio, maschio o femmina che sia, e fondamentale per la buona riuscita di una famiglia; ma soprattutto, che il padre è la porta attraverso la quale la giovane donna si apre per la prima volta all’universo maschile. In questa analisi, l’autrice non concede spazi all’implicito, affrontando con decisione anche le tematiche più difficili dall’approccio con il sesso, a quello con il corpo, con il cibo, con la madre e con il lutto. Forse qualcuno può non apprezzare lo stile casistico e non comprendere il carattere liberal della società americana, che sembra lontana alla nostra, ma l’autrice riesce bene a rappresentare molto bene ai padri la centralità del loro ruolo in questo processo.

Si potrebbe obiettare che il libro pare, a volte, anche un po’ ingenuamente deterministico nelle conclusioni, al limite con un ipotetico manuale del padre perfetto (che non esiste). Tuttavia, non si può scordare che il tema è particolarmente trascurato dalla letteratura: proprio per questo sembra particolarmente indicato alle esigenze dei padri di oggi, alla indispensabile ricerca della propria identità educativa. L’autrice è particolarmente efficace nel rivolgersi in un appassionato colloquio a tu per tu con il lettore, invitandolo a più riprese a non scoraggiarsi nella ricerca del proprio ruolo, a insistere nella convinzione che questo sia determinante, a credere nella riuscita della relazione, a considerare il presente come momento utile per prendere in mano ogni situazione, anche la più complessa.
In sintesi: il libro ha il pregio di ricordarci che - nella relazione educativa - il rapporto con la figlia femmina è parte dell'incontro tra l'universo maschile e l'universo femminile. La presenza della figura paterna è dunque forse un po' più complessa, ma doppiamente importante. Voi che esperienza avete?

martedì 8 aprile 2014

le parole che non ti ho detto


Con quali parole i cristiani (cattolici) proclamano la bellezza del matrimonio e, quindi, annunciano questa buona notizia?



Dice intanto il mio amico Gilberto Borghi, cui ho rubato quest'analisi, che nei testi del Catechismo della chiesa cattolica su matrimonio e sessualità "su più di 11 mila parole, quelle che più ricorrono, scontando quelle ovvie visto il tema (sposi, matrimonio, Dio, Gesù, Chiesa, Padre - Madre), sono le seguenti: amore (81 volte); vita (54); castità (37); fedeltà (37)". E in pole position ci sono anche "dovere (47)" e "regole (37)".

Capità poi che tra "quelle che ricorrono di meno" ci siano per esempio "felicità (1 sola volta); gioia (2); perdono (3); tenerezza (4)".

Otto volte compare la parola "piacere", di cui 5 in senso in senso negativo.

Al concetto di piacere sessuale si dedicano 58 parole su oltre 11.000, appena lo 0,5%. Eccole: “Il Creatore stesso ha stabilito che nella reciproca donazione fisica totale gli sposi provino un piacere e una soddisfazione sia del corpo sia dello spirito. Quindi, gli sposi non commettono nessun male cercando tale piacere e godendone. Accettano ciò che il Creatore ha voluto per loro. Tuttavia gli sposi devono saper restare nei limiti di una giusta moderazione”.

E il Catechismo già dice di più e meglio delle parole pruriginose oppure "rassegnate" e cinicamente pragmatiche sul matrimonio e sulla "crisi della famiglia" che mi è capitato di leggere e ascoltare da alcuni cattolici, laici e religiosi.

Come facciamo a proporre la bellezza del matrimonio cristiano senza usare tutte le parole che lo rappresentano?
Se per qualcuno gioia, felicità, piacere e tenerezza non sono parole chiave di questa realtà così forte e bella, insomma, "Houston, abbiamo un problema!".

mercoledì 8 gennaio 2014

perché il Battesimo

"Non è la nostra cultura o la nostra dirittura morale che fanno di noi dei cristiani, ma il contrario: è riscoprire ogni giorno il battesimo che ci permette, come conseguenza naturale, di vivere in modo moralmente ordinato e coerente. La chiamata alla santità, infatti, non ci richiede di essere 'buoni', ma di disporci a cambiare, per rivolgerci verso Dio"

Ci sono alcuni buoni motivi per cui ho letto volentieri e segnalo il libro di Matteo e Roberta Lariccia, Perché il battesimo. Secondo mamma e papà (ed. Effatà, con la prefazione di Luigi Accattoli).


Perché sono amici ritrovati e riscoperti per vie "imperscrutabili". Anche quelle del web.

Perché presentano il battesimo in modo semplice e scaturito da un'esperienza concreta.

Perché si avvale, sia nello scheletro narrativo che nella simbologia, dei tempi e del linguaggio della liturgia, rivalutandone e facendone riscoprire il senso; perché la liturgia, appunto,non resti nell'immaginario di tanti come una coreografia della religione o come un apparato lezioso di oggetti e vesti sacre.

Perché fanno vedere che cosa nasce dal matrimonio - che "genera" in tante forme - e quale forme può assumere il servizio specifico degli sposi alla Chiesa e alla società: il "ministero della coppia", ministero unico nella sua natura e forma, per ciascun coniuge e ciascuna coppia.

Infine, perché Matteo (e Roberta) proverà a collaborare a questo blog in questo anno dedicato al Sinodo della Chiesa sulla Famiglia. Grazie!