martedì 15 gennaio 2019

Intorno alla tavola, il mondo. E Dio


L’ospitalità di Abramo, icona, inizio xv secolo, Museo Benaki, Atene.

Cattolici, musulmani e ortodossi. Argentini, eritrei, italiani, somali e pachistani. Amarico, castigliano, inglese, italiano, soomali, tigrigno, urdu. Lasagne, focaccia, sambusa, zighinì. Sapori, suoni e colori diversi, anche sulla pelle. Il gusto di stare insieme.
Questo Capodanno è andata così a Miriam-Betlemme, nel cuore di Roma. Con mezzo “pallamondo” di Ab. seduto a tavola insieme, a fare festa per il compleanno di Ay. e proprio di suo figlio Ab. La dignità della quotidianità condivisa. L’invisibile “potere” di integrazione di una cucina e della famiglia.
Il “pallamondo” di Ab.
Lingua, confine e frontiera
Le lingue ci dividono. Ma diventano anche frontiere dove l’incontro è possibile. Eritrei e somali comunicano in amarico, perché entrambe le famiglie sono state rifugiate in Etiopia. L’arabo poi le accomuna anche con i pachistani, perché è la lingua delle scuole coraniche e quella che anche i figli degli eritrei hanno imparato a scuola in Etiopia. In arabo, conversando, Ay. esprime il suo sogno dello ḥajj il pellegrinaggio tradizionale alla Mecca. Con Ta. (pachistano) e Te. (eritreo) comunichiamo in inglese. Te., che “resiste” all’insegnamento dell’italiano, è un fiume in piena, tra entusiasmo e preoccupazioni: in genere, dice, non trova persone che vogliono e possono parlare con lui, per aver in confronto e uno sfogo alla pari: lo salutano e poi non sanno che fare. Invece così si sente un po’ più uomo…
La geografia che non ti aspetti
“Ma la Libia è in Africa?”, domanda la zia (somala) di Ab., mentre guardiamo insieme il pallamondo. Chissà cosa rappresenta nel suo immaginario la Libia… Alcuni non avevano mai visto la forma della propria terra e, sebbene le abbiano sperimentate bene, non avevano mai visto con gli occhi le distanze rispetto all’Italia e ai Paesi degli altri ospiti.
I bambini che fanno ponti
Francesco (4 anni), il nostro figlio più piccolo, e Ab. (8) passano da mesi tante ore del giorno insieme. Ab. vuole andare al bagno vicino alla cucina, ma Francesco lo ferma e gli dice che no, lì non può andare. “Perché no?”, chiede Ab. “Perché questo è il bagno per gli ospiti. Quello della famiglia, è di là”.
Il piccolo Be. gattona nella stanza che usiamo per la preghiera, per condividere il Vangelo con le famiglie che vengono a trovarci. E torna con una piccola candela per trofeo. La mamma Amy (ortodossa) lo accompagna a riportare a posto la candela, entra per la prima volta nella stanza, vede la nostra icona… chiede a Luisa, che le spiega cosa facciamo lì, e poi domanda: “Un giorno preghiamo insieme? Per noi è molto importante”.
Diversi ma uniti nella preghiera
Anche Ad., la moglie di Ta., è entrata qualche volta nella “stanza della preghiera”: quando ha avuto bisogno di appartarsi per allattare la piccola Fatima. Ha capito dove si trovava e una volta ha chiesto conferma. “Sì - le dice Luisa - ogni mattina prego in questa stanza. So che anche tu preghi 5 volte al giorno nella tua". Da quel momento due donne, una musulmana e l’altra cattolica, sanno che entrambe nella stessa casa e nello stesso luogo pregano, affidando a Dio ciascuno nel suo modo le persone di cui conoscono le difficoltà. “È il cuore che Dio guarda", ha detto Ad.
ps. ah, a Natale era andata così… 

La benedizione condivisa: “Dio che è grande si fa piccolo per stare accanto a noi”.

Abbiamo chiesto poi a Dio che ci aiuti a realizzare i nostri sogni, in particolare quello di una casa e di un lavoro sicuro: “Inshallah!” hanno risposto insieme i musulmani a tavola. E noi abbiamo ripetuto con loro “Inshallah”, sia fatta la volontà di Dio. E così sia. 

[…] Sì, nella condivisione del pane, nello stare a tavola insieme, nel conversare, nel fare memoria di ciò che si è vissuto, avviene il riconoscimento e lo straniero si rivela […]: il Signore Gesù viene come uno straniero, e chi lo avrà accolto, in quel giorno lo riconoscerà e sarà benedetto (cfr Mt 25, 34–35).
(E. Bianchi, Ero straniero e mi avete ospitato, Rizzoli, 2006, p. 52)
(pubblicato anche su Medium)