venerdì 12 novembre 2010

famiglia d'origine controllata

foto flickr/Pink Sherbet Photography
La famiglia è in crisi. Lo sentiamo dire spesso e volentieri.
Cerchiamo, se possibile, per un momento, di mettere a latere il dibattito su matrimonio e coppie di fatto. E con questo anche le inadempienze della politica sul tema.

Quando si evoca "la famiglia" e poi la  sua tutela e promozione, nei dibattiti politici e televisivi, nelle paginate dei giornali e, mi viene il dubbio, anche da qualche pulpito e in certe grandi adunate, di che parliamo esattamente? Che oggetto di indagine si ha davvero davanti agli occhi?

Mi torna alla mente una notiziola di qualche tempo fa: l'associazione degli avvocati matrimonialisti italiani rese noto che tra i procedimenti affidati ai loro associati spiccava tra le cause di separazione quella dell'ingerenza delle famiglie di origine (mi pare, con un dato superiore al 30%). Una recente rilevazione Istat ci fa sapere che il 20% delle separazioni/divorzi sarebbe colpa "dei suoceri". Allargo il campo solo en passant - vista l'indigestione di gossip che si fa sull'argomento - ricordando la mole di delitti che si perpetuano entro i confini della famiglia e di quella allargata in specie.

Almeno da un punto di vista ecclesiale però, io - da "cattolico praticante" - mi sento di dire che non possiamo permetterci la "confusione" tra la famiglia in senso proprio, quella che si forma col matrimonio di una coppia, e la famiglia allargata.

Negli stereotipi noi siamo la nazione della mamma e dei figli "piezz' 'e core". Ma pure degli zii, dei cugini, e delle cugine, del cognato e della sorella della nonna. Un microcosmo che si rivela talvolta claustrofobico e ambiguo, e più spesso di quanto si sia soliti ammettere.

Si potrebbe dire che si tratta di una confusione giustificabile, in Italia. Ma solo se ci limitiamo all’osservazione sociale e politica, perché la "famiglia allargata" è oggettivamente un perno del sistema di welfare, per esempio. Altro poi è stabilire se questo è sempre bello, buono e naturale e quando invece è sintomo di una patologia.

Accolto il dato – questo pacchetto di relazioni, benedette e maledette a seconda delle circostanze e dei progetti di vita – trovo però davvero importante cominciare a mostrare con maggiore decisione, nei percorsi educativi e formativi, che il centro dell'attenzione deve essere la coppia e quindi il matrimonio: moglie e marito. I figli, poi, se e come vengono. Non la famiglia “core de mamma”.

Se non rafforziamo, difendiamo e promuoviamo ogni “nuova famiglia” – con grande cura verso i due sposi, la loro crescita e la loro libera maturazione e, possibilmente, ben prima del matrimonio – rischiamo di avvalorare un modello che in fondo tende quasi a temere e a delegittimare la scelta di sposarsi: due persone mature e libere che si amano e decidono di metter su la loro famiglia, pur nel rispetto e nella gratitudine verso mamma e papà (nonni, zii e consanguinei vari), possono diventare una minaccia per la tenuta e l'autodifesa della famiglia allargata, quella “vera”.

E in questo modo diventano anche una minaccia per quel modello "familistico" che ritroviamo geneticamente modificato in altre forme sociali e che abbiamo imparato a definire "corporativismo" o addirittura “familismo amorale”. Modelli di relazioni che trovo molto lontani da quelli che i cristiani dovrebbero promuovere e perpetuare, in vista del progetto salvifico di Dio per ciascuno e per l'umanità tutta.