Andare al parco con mio figlio e frequentare luoghi in cui si trovano molte famiglie giovani mi induce a pensare che qualcosa stia andando per il verso sbagliato rispetto all'educazione dei nostri figli e forse, tra alcuni anni, ne avremo un riscontro inoppugnabile.
Bambini cui viene chiesto di scegliere, tra una vasta rosa di possibilità, quale sia la merenda di loro gradimento (una sorta di merenda à la carte) e poi inseguiti dagli stessi genitori per fargliela ingurgitare mentre sono distratti dal gioco, schiavi di madri igieniste che si illudono di preservarli da ogni male correndogli dietro con salviette umidificate disinfettanti, iperprotetti (calzini antiscivolo, paraspigoli, persino lo scaldasalviette contro lo "shock termico" durante il cambio pannolino), ipercoccolati (difficilmente si sentono genitori che sollecitano i loro figli a sopportare con pazienza il fastidio di una sbucciatura o la frustrazione che un giocattolo non gli appartiene quindi non possono usarlo, la cosa più severa che si sente dire in questo caso è "dai non fare i capricci, poi papà te ne compra uno ancora più bello".).
Femminucce indotte a idolatrare le principesse e il loro apparire con scarsa attenzione ai contenuti e maschietti illusi che con la forza dei muscoli si risolvono un sacco di cose nella vita.
Insomma, di esempi rappresentativi dello stato delle cose se ne possono trovare a migliaia e mi piace chiarire che io non sono del tutto lontana da certi modi di agire né, tanto meno, sono esente dal compiere errori madornali con mio figlio. Magari ci fosse la ricetta da seguire, purtroppo non è così.
Provo solo a tirarmi momentaneamente fuori dal contesto per poterne parlare da un'angolatura più obiettiva possibile e per trovare, insieme a chi vorrà leggere il seguito, degli spunti utili a metterci in discussione uscendo dal noiosissimo "così fan tutti".
Provo solo a tirarmi momentaneamente fuori dal contesto per poterne parlare da un'angolatura più obiettiva possibile e per trovare, insieme a chi vorrà leggere il seguito, degli spunti utili a metterci in discussione uscendo dal noiosissimo "così fan tutti".
E allora voglio provare a fare un passo oltre e a riflettere, attraverso una serie di interrogativi retorici, sul valore della genitorialità.
Mi chiedo dunque: tutta la tenerezza, pazienza e comprensione espressa in favore dei propri bambini under 6, come mai non trova espressione in tutti gli altri ambiti dell'esistenza di questi 30-40 enni che poi, usciti dal parco, incontri in ufficio implacabili verso i colleghi, incolonnati accanto a te in tangenziale che con la loro auto (rigorosamente munita di adesivo “bebè a bordo”) quasi ti speronano per non farti immettere nella loro carreggiata, alle riunioni di condominio pronti a venire alle mani per avere quindici euro in meno sulla bolletta?
Ma soprattutto mi chiedo dove va a finire tanta accoglienza e disponibilità non appena le creature (ci chi?) già a 8-10 anni iniziano a ricordare con prepotenza ai loro genitori che sono altro da loro e che, sebbene da loro provengono, hanno inclinazioni, gusti, desideri che non sono la fotocopia dei loro o di quelli che loro avevano messo in conto al tempo del concepimento.
Per non parlare poi del periodo adolescenziale in cui gli scontri tra le generazioni, fisiologicamente più aspri e frequenti, fanno diventare i genitori nostalgici di quel bambino che ormai è scappato loro di mano e che oggi, dall'alto del suo fragile metro e 80, ci grida in faccia che la vita è la sua e non possiamo imporgli le nostre scelte. Tutta la comprensione dei primi anni lascia, a questo punto, il posto a furibonde liti, a silenziose solitudini e a incomprensioni molto difficili da vivere.
Essere madre e padre non è uguale a essere mamma e papà.
Tanta tenerezza e arrendevolezza verso i propri bambini, dove non inserita in un progetto educativo, diventa espressione di quella parte di noi più infantile che ha bisogno di soddisfare se stessa prima di servire l’altro.
Finché il figlio rappresenta un mio prolungamento, una mia appendice, un simbolo di adeguamento sociale che mi gratifica sono disposto a sopportare le fatiche fisiche, la compressione dei miei spazi personali, le rinunce economiche e a sacrificare l'intimità coniugale.
Ma non appena il figlio non mi fa più da specchio e sono chiamato ad accettare concretamente la diversità che esprime e a stargli accanto accompagnandolo all'età adulta nella consapevolezza che lui è altro da me allora iniziano i mal di pancia. Perché quel ragazzo non lo riconosco più e mi fa paura. Come mai?
A volte ho l'impressione che la mia generazione si riproduca un po' per noia e un po' per la natura delle cose. Ma così come, anche il questo blog, si è tanto evocata una preparazione adeguata alla vocazione sacerdotale o matrimoniale, sarebbe forse utile affrontare nelle sedi opportune (anche nei corsi di preparazione al matrimonio, perché no?) cosa significa essere genitori, generare vita al di là della biologia.
E avere figli, non bambini.