mercoledì 7 marzo 2012

Più omicidi in famiglia che per mafia?

"Questo non è un titolo: è terrorismo psicologico. Mettere sullo stesso piano #famiglia e #mafia... #vergogna!" twitta così un amico, commentando il titolo che leggete qui sotto:

I MATRIMONIALISTI/«Più omicidi in famiglia che per la mafia»

La questione

L'articolo è un'intervista a un noto avvocato matrimonialista che, tra le altre cose, mette in evidenza che «dal 2006, gli omicidi tra familiari sono stati 200, quelli della malavita organizzata 170». I dati sono dati (ma non li ho verificati).
Poi bisognerebbe capire come si faccia a scremare questi da quelli, cioè a determinare quale omicidio tra familiari non sia anche un omicidio "mafioso", caso non improbabile. L'articolo non ci aiuta.

Lo stesso avvocato ne deduce che "non si riesce ad arginare la violenza intrafamiliare, oggi più pericolosa di quella della malavita organizzata". Il problema è grosso e reale (la violenza familiare), l'accostamento è quanto meno ardito (e minimizza la pericolosità della malavita organizzata. Ma su questo in Italia siamo abituati).

Un salto logico

Faccio un piccolo salto logico. Perché i temi qui sono: i dati sugli omicidi messi a confronto in modo "spartano" e sopratutto la violenza che alberga un po' nel cuore di tutti noi e che a volte, in qualcuno, si esprime in modo orribile anche con le persone più vicine.

Non credo però sia lontano dal vero che un malinteso senso di legame familiare, di rispetto e di difesa della famiglia nonché una sua "idealizzazione" (per nulla cristiana, ma in qualche modo molto religiosa) siano molto legati alla genesi della mafiosità, in questo Paese e non solo.

Con tutte le conseguenze del caso in termini di azioni "corrotte" o "violente" di piccolo e grande cabotaggio, a discapito di "chi è fuori" dalla famiglia, dal gruppo, dal branco, dalla corporazione, dalla comunità (?) etc etc.

Altro conto è dire - per polemizzare con i credenti e con la Chiesa - che la causa dei mali del mondo è il matrimonio, e il matrimonio cristiano in specie.
Se questo fosse anche l'intento di chi fa il titolo e del noto avvocato, allora saremmo proprio fuori strada. Ma non possiamo leggere le intenzioni.

Doppio salto mortale (ma anche vitale)

I punti che però si sollevano e che stanno a monte anche di questo piccolo caso per me sono:
  • esattamente, che genere di famiglia e che genere di matrimonio ha in testa e nel cuore - sia in campo laico che cattolico - chi evoca "la famiglia"?
  • Come educare e aiutare le persone (e chi pensa a "mettere su famiglia" in specie) a liberarsi da legami familiari originali fuorvianti, non liberanti o persino pericolosi?
  • Come aver cura del modo in cui ciascuna persona arriva a scegliere - consapevolmente - il matrimonio (in particolare, quello cristiano: a comprenderne natura e "missione")? E come accompagnarla dopo il matrimonio?

Da persone libere (e pacificate con se stesse e con la propria storia: convertite), nascono matrimoni liberi, quindi famiglie e società più libere. E forse meno violente. E probabilmente meno mafiose.