martedì 14 aprile 2009

La Passione di Braveheart


La notizia si è diffusa: Mel Gibson divorzia.
E non è il solito divorzio di un divo qualunque. Qui stiamo parlando di un cattolico dichiarato, senza dubbio anche un po’ discusso, ma certamente “celebre”. Insomma, uno di quelli con i quali noi cattolici “ignoti” dobbiamo necessariamente fare i conti quando ci presentiamo “in pubblico”, perché nel bene o nel male questi “super-cattolici” contribuiscono inevitabilmente alla nostra immagine presso i non-cattolici.
E allora ho deciso di scrivere.
Innanzi tutto, solidarizzo con il dolore. Il divorzio è sempre una tragedia e, quando si concretizza, il livello di sofferenza degli sposi è talmente alto che molte volte lo si considera persino “il male minore”. Poi non giudico. Siamo davvero tutti piccoli piccoli di fronte alla grandezza dell’Amore e nessuno può farsi giudice delle piccolezze altrui.
Lo voglio ripetere: solidarizzo e non giudico. Tanto più che Mel Gibson mi è sempre stato antipatico. Me lo sono sempre immaginato a tavola mentre conversava in aramaico con la moglie (con i sottotitoli in inglese naturalmente) o mentre ridacchiava di noiosissime battutacce antisemite.

Solidarizzo, non giudico, ma affermo con forza: un matrimonio che si rompe non è la dimostrazione della fragilità del Matrimonio. La fragilità sta nell’Uomo (e quindi anche in me, in prima persona); la fragilità è figlia del nostro orgoglio e della nostra incapacità di affidarci al Padre.

Il legame fra un uomo e una donna parla di noi. Lo desideriamo eterno, perché l’Uomo è fatto per Dio, ma lo rendiamo spesso fragile, perché pretendiamo di costruirlo al di fuori del progetto divino.